Do-it-yourself mobile apps

Intorno a metà degli anni ’90 e più o meno fino alla fine del secolo, un software chiamato FrontPage prometteva siti web costruiti e linkati con facilità, grazie a un semplice editor WYSIWYG (What You See Is What You Get). Tutti, anche coloro che non conoscevano l’HTML, potevano costruire e pubblicare pagine web, linkarle tra di loro, aggiornarle con relativa facilità.

Questo stesso spirito sta animando in questi mesi la nascita di una serie di software e tool vari per creare le applicazioni per telefoni cellulari.

Secondo research2guidance, il mercato mondiale delle applicazioni per smartphone crescerà da 1,94 miliardi di dollari del 2009 fino a raggiungere i 15,65 miliardi nel 2013. Questo boom sarà guidato innanzitutto dal crescente numero di smartphone, che dovrebbero passare dagli attuali 100 milioni fino a quasi 1 miliardo nel 2013.

E così, ecco i sistemi fai-da-te per rendere la costruzione di un’applicazione alla portata di tutti. Mobile Roadie (tradotto un po’ ingenuamente anche in italiano: nella home page, “android” diventa “androide”) promette di essere il modo semplice e poco costoso per chiunque di costruire un’applicazione per smartphone. AppBreeder propone delle app base, customizzabili e poi configurabili a piacere, per una serie di settori: la app per la band, quella per i ristoranti, quella per le scuole, quella per il turismo. Il settore musicale sembra aver guidato questo processo, dando un’occhiata agli esempi proposti dagli operatori. Evidentemente, l’applicazione si propone lo strumento adatto per superare il caro, vecchio MySpace.

In uno scenario così in fermento, laddove negli anni ’90 arrivava il software factotum di Microsoft (appunto: FrontPage), adesso arriva puntuale il prodotto di Google. Si chiama Google App Inventor e punta a far esplodere il Market delle app di Android con una raffica di applicazioni user generated.

C’è solo da sperare che qualcuno tuteli la qualità generale di quanto viene prodotto. Apple sembrerebbe averci già pensato per il suo App Store, come emerge da questo articolo di Wired.
Sia per le nuove software house dell’applicazione fai-da-te, sia per noi utenti, sarà senz’altro un bene.

iPhone, applicazioni, brand e social media

La crescita del fenomeno iPhone e le caratteristiche socio-demografiche di chi possiede già l’innovativo telefonino Apple hanno attirato l’attenzione di diversi investitori pubblicitari. WARC News ha segnalato le importanti iniziative in quest’ambito di brand come Pizza Hut, Whole Foods e Kraft e i primi passi di giganti come Unilever e Procter & Gamble.

L’applicazione per iPhone lanciata da Pizza Hut consente di personalizzare e ordinare piatti a scelta. E’ stata scaricata oltre 150.000 volte, a un mese dal lancio. Tra le opzioni interattive offerte, quella di aggiungere la salsa alle ali di pollo, scuotendo il telefonino.

Anche Kraft e Burger King hanno scelto la strada del servizio ai clienti o dell’e-commerce. Diversa la scelta fatta da Barclaycard in Gran Bretagna, che invece ha lanciato un gioco (The Waterslide Extreme) che con 4 milioni di download nel primo mese, migliore applicazione nella sua categoria in 57 paesi, è diventata rapidamente la branded app più diffusa e popolare al mondo.

 

iphoneFrattanto, la battaglia per pubblicare applicazioni sull’App Store dell’iPhone si fa sempre più dura. Mobile Entertainment racconta i modi con i quali tanti creatori di applicazioni, a volte famosissimi, cercano di “aiutare” il processo di approvazione e pubblicazione da parte di Apple. In attesa che l’applicazione venga vagliata e finalmente inserita tra quelle approvate, gli sviluppatori creano e diffondono video demo, blog post, recensioni in anteprima. L’obiettivo è quello di ricevere attenzione dai giornalisti di settore e dai blogger; sfruttare al massimo la potenza dei social media per guadagnare popolarità e alimentare il buzz; e magari forzare quelli di Apple a darsi una mossa.

Questo non ha impedito all’App Store di avere già la sua galleria di esclusi illustri, tra cui il digital artist Iugo, che ha ritirato la sua applicazione per la lentezza del processo di approvazione, e Google, per cui l’esclusione della Google Voice app ha addirittura generato un’indagine da parte della Federal Communications Commission.

Uno Starbucks che non è uno Starbucks: ecco lo Stealth Store

Pare che Starbucks stesse da tempo considerando l’idea di esplorare nuove idee di punto vendita. Magari avvicinandosi alle atmosfere dei piccoli café, con musica dal vivo, atmosfera familiare, colloqui diretti al bancone con i gestori, possibilità di gustare altro che caffè e the.

Ed ecco allora svelato il 15th Avenue E Coffee and Tea, il primo di una serie di stealth store, dove il marchio Starbucks ha una presenza discreta (“inspired by”) e tutto è pensato per la costruzione di un ambiente del tutto diverso da quello dei tradizionali store Starbucks.

Stando alle anteprime diffuse da PSFK, la strada intrapresa ha buone possibilità di riuscire nell’intento di differenziare il business e attrarre nuovi target.